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Calendario romano: origine e curiosità

Calendario romano

Parlando delle idi di Marzo abbiamo accennato al cosiddetto calendario romano, il sistema di conteggio dei giorni e del tempo utilizzato nell’antica Roma. La tradizione riferisce come il primo calendario romano sia stato ratificato dallo stesso Romolo nel 753 a.C.. Questo tipo di calendario subì nel corso dei secoli diversi cambiamenti, fino alla diffusione nel 46 a.C. del calendario romano di Giulio Cesare, noto per questo come calendario giuliano.

Calendario lunare e agricolo

I primi romani, come avveniva diffusamente nell’antichità, utilizzavano un calendario di tipo lunare. La distinzione dei mesi era sancita dalle Calende, le Idi e le None. Le calende indicavano il novilunio (la fase in cui la Luna volge alla Terra la faccia non illuminata), mentre le Idi il plenilunio (quando l’emisfero della Luna è pienamente visibile dalla Terra). Le None, invece, era la data in mezzo alle Calende e le Idi.

Questo calendario era però impreciso rispetto all’anno solare, motivo per cui si tentò di risolvere il problema stabilendo una sorta di calendario agricolo che cadenzava il tempo in base alle attività degli agricoltori. Gli eventi principali erano quelli legati alla vendemmia, la semina, l’inizio dell’aratura e tutti gli altri appuntamenti che segnavano la vita agricola.

I mesi del calendario romano

Il calendario lunare romano di Romolo aveva una suddivisione in dieci mesi. Questi erano Martius, Aprilis, Maius, Iunius, Quintilis, Sectilis, Spetember, October, November e December. Molti dei nomi dei mesi in latino sono rimasti ancora oggi, anche se non tutti corrispondono a quelli attualmente utilizzati. Con la riforma di Numa Pompilio furono introdotti anche i mesi di Ianuarius e Februarius portando di fatto i mesi dell’anno da dieci a dodici.

Giorni e anni

Gli antichi romani non utilizzavano la conta dei giorni come siamo abituati a fare oggi. Avevano le Calende, le None e le Idi come punti di riferimento e contavano i giorni in base a quanti ne mancavano a queste date. Originariamente l’inizio del nuovo anno era il primo giorno del mese di Marzo e non c’è unanimità nello stabilire quando si è passati a utilizzare il 1 gennaio come data di inizio del nuovo anno. inoltre spesso non c’era un vero e proprio computo degli anni, ma essi erano definiti in relazione al console che governava in quel periodo.

Solo successivamente si iniziò a introdurre la sigla AD che indicava il numero di anni trascorsi dall’insediamento dell’imperatore Diocleziano (Anno Diocletiani). La sigla AD del calendario romano non va confusa con quella medioevale che indicava l’Anno del Signore (Anno Domini).

Le ore romane

Interessante e diverso dal nostro è anche il modo di contare le ore di ogni giorno. I romani facevano riferimento al sorgere e al calar del sole, che indicavano l’inizio e la fine del giorno. Il tempo tra l’alba e il tramonto era diviso in dodici ore. C’era quindi l’hora prima, l’hora duodecima e l’hora meridies (o sexta) che indicava quella a metà della giornata.

Il calendario giuliano

Con Giulio Cesare il calendario romano conobbe una profonda rivoluzione e fu introdotto a partire dall’anno 46 a.C. Nonostante prenda il nome di Giulio Cesare, questo calendario fu sviluppato da Sosigene di Alessandria, un astronomo egizio che si occupò dell’elaborazione di questo sistema. Il calendario giuliano è rimasto in vigore fino al 1582, quando fu poi sostituito dal calendario gregoriano voluto da Papa Gregorio XIII.

Il calendario giuliano introdusse i cosiddetti anni bisestili. L’anno solare non ha un numero di giorni completo, per questo si aggiunse un giorno in più per colmare questa differenza. Il nome di “anno bisestile” deriva dal modo con cui i romani chiamarono il giorno in più, ovvero bis sexto die, da qui, appunto, anno bisestile.

Scritto da Daniele Di Geronimo

Giornalista pubblicista e Copywriter. Da Roma non ho preso solo la provincia di nascita, ma anche l'amore e l'interesse per una città unica nel suo genere convinto che il meglio della sua storia possa (e debba) ancora essere vissuto e raccontato.

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