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La grattachecca: tra storia, mestieri, gusto e freschezza

Grattachecca

Con il caldo di questi giorni torniamo prepotentemente a parlare della frutta estiva refrigerante per trovare sollievo alle ore più afose di questo periodo dell’anno. E lo facciamo parlando della celebre grattachecca, una bevanda di per sé molto semplice, ma oltre a essere estremamente dissetante e rinfrescante è molto interessante per le sue origini, sia etimologiche che storiche.

Alla scoperta dell’origine del nome e della bevanda

Perché la grattachecca si chiama in questo modo? Il termine deriva dal modo con cui si prepara questa bevanda, ovvero dal grattare un blocco di ghiaccio tramite un apposito attrezzo. L’azione di grattare e il blocco di ghiaccio che in romanesco si diceva checca ha portato a coniare questo curioso termine

È un termine che rimanda a una bevanda nata agli inizi del Novecento anche se a dire il vero l’arte e il gusto di bere bevande fredde (anche per evidenti ragioni climatiche) ha origini più antiche. Gli stessi antichi romani amavano gustare un dolce a base di miele, frutta fresca e neve. Un dolce, il nivatae potiones, che può essere considerato un antenato del moderno sorbetto, tanto che anche Plinio il Vecchio ne parla come di una bevanda

composta da ghiaccio finemente tritato e miele con un’altra porzione di ghiaccio e succo di frutta, in modo da ottenere una crema ghiacciata

L’utilizzo della neve per la preparazione delle bevande portò alla nascita dei nevaroli, coloro che si occupavano della raccolta sulle montagne e poi, attraverso imballi di paglia, la trasportavano sui carri fino alla città eterna. Data l’urgenza di farla arrivare a destinazione (anche per il rischio che si sciogliesse) si vennero a creare delle vere e proprie “vie della neve”, strade lungo le quali di notte i nevaroli (che avevano la precedenza di transito) raggiungevano Roma.

Arrivati a destinazione riponevano la neve in apposite neviere (ambienti a bassa temperatura, spesso interrati). Fino a tutto il diciannovesimo secolo, prima della diffusione dei moderni frigoriferi, era ancora possibile vedere per le strade di Roma passare le barrozze (i tipici carri) che trasportavano i blocchi di ghiaccio che provenivano dalle zone intorno a Tivoli e a quelle dei Castelli Romani.

Come preparare la grattachecca romana

La grattachecca, da non confondere assolutamente con la granita, è uno dei riti più tradizionali dell’estate romana. Un rito cui si dedicano volentieri non solo i romani, ma anche i tanti turisti che visitano la città eterna durante la stagione estiva. Nella granita l’acqua, lo zucchero e i succhi di frutta sono miscelati, congelati e poi tritati; nella grattachecca, invece, i succhi e gli sciroppi sono aggiunti dopo aver grattato il ghiaccio e l’effetto unico che si ha è quello di un contrasto tra i cristalli di ghiaccio croccanti e la dolcezza del succo.

Ancora oggi sono tanti i chioschi che nei luoghi più storici della città (a Ponte Milvio, nei quartieri Trionfale e Trieste o nei Rioni Testaccio, Prati e Trastevere) preparano rigorosamente a mano la celebre grattachecca. Per chi volesse prepararla in casa avrà bisogno del ghiaccio, dello zucchero, della frutta e del succo di frutta o dello sciroppo.

Prendendo il blocco di ghiaccio bisogna tritarlo con un apposito attrezzo (in alternativa si può usare anche il mixer) per poi aggiungere i pezzi di ghiaccio in bicchieri sufficientemente grandi. Quindi aggiungere lo sciroppo (amarena, menta, latte di mandorla, eccetera) o il succo di frutta (arancio, limone, cocco, cedro, eccetera) e i pezzi di frutta fresca di stagione. Una volta pronta la grattachecca va consumata subito, di giorno, nel pomeriggio o di sera, per gustarne tutta la freschezza senza perderne il sapore e le caratteristiche inconfondibili.

 

Immagine in evidenza: thanks to wineandfoodtour.it

Scritto da Daniele Di Geronimo

Giornalista pubblicista e Copywriter. Da Roma non ho preso solo la provincia di nascita, ma anche l'amore e l'interesse per una città unica nel suo genere convinto che il meglio della sua storia possa (e debba) ancora essere vissuto e raccontato.

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